Il 16 aprile scorso è stato aperto il tratto autostradale di dieci chilometri scarsi, che collega il casello dell’autocisa di Parma con il casello di San Quirico.
La realizzazione della bretella Ti-Bre è la più grave sconfitta mai subita dal movimento ecologista a Parma. Mi chiedo però chi ha vinto.
Cancellati decine di ettari di terreno agricolo tra i più fertili al mondo, frammentati decine di poderi, eliminato l’ultimo prato stabile, attraversata la zona umida di Grugno sul Taro, pesantemente impattato il corso del fiume, non ripristinato dopo il cantiere, deturpato per sempre il paesaggio all’interno di due siti della rete Natura 2000.
Giustamente mercoledì 16 non c’era nessuno alla sua inaugurazione. Un’assenza densa di imbarazzo, come se ci si accorgesse ora dell’enormità di queto errore. Eppure già quindici anni fa c’erano tutti gli elementi per comprendere follia di un’opera la cui costruzione non era certa. Perché oggi di fronte all’errore conclamato, le forze politiche presenti in Consiglio comunale non riescono ad elaborare una riflessione critica rispetto a quelle che sono state la pianificazione e la programmazione di quegli anni? Si sapeva benissimo che c’erano solo le risorse di Autocisa, come oggi sappiamo benissimo che la parola “completamento” è una mistificazione, dal momento che abbiamo realizzato dieci chilometri e ne resterebbero settanta da realizzare. Ragionare sul collegamento con la Cispadana è già un giudizio negativo su un’opera che per collegarsi con la viabilità ordinaria non aveva nessuna necessità di essere un’autostrada.
La Tibre non è una calamità naturale, ma deriva da scelte e responsabilità ben precise. La responsabilità di chi ha teorizzato il corridoio plurimodale, senza scegliere tra strada e ferrovia, come se ci fossero risorse, economiche ed ambientali, per realizzare tutto, di chi ha evitato la gara europea, facendo letteralmente carte false quando ci fu da superare la procedura di infrazione aperta dalla Commissione europea, chi ha approvato valutazioni di incidenza che attestavano l’impatto “non significativo” dell’opera, chi ha approvato opere di compensazione che consistono in altre strade, ancora meno utili, come le tangenziali di Fontevivo, quelle di Viarolo e di RCC, chi ha tradito una mozione del Consiglio comunale di Parma, decidendo di non presentarsi all’ultima assemblea dei sindaci che poteva fermare quell’aborto infrastrutturale.
Il danno è fatto, è poco rimediabile, ma siamo in tempo per un giudizio politico obiettivo su un’infrastruttura che si aggiunge alle tante strutture inutili pianificate in quegli anni determinando consumo di suolo, spreco di risorse e degrado urbanistico.