Peste suina africana: rischio tsunami per la Food Valley

Silenzi e strumentalizzazioni politiche non aiutano e non fermano il contagio

La diffusione dell’epidemia di peste suina africana nel territorio parmense richiede una immediata e forte mobilitazione di tutta la comunità economica e sociale di Parma per ottenere dal governo misure immediate di sostegno per la filiera dei salumi e azioni efficaci con i paesi di esportazione per superare il blocco delle esportazioni sui prodotti non contaminati, in particolare quelli a denominazione di origine come il Prosciutto di Parma e il Salame di Felino.

La nuova perimetrazione del contagio, adottata ieri dalla Commissione Europea in conseguenza del ritrovamento di carcasse di cinghiale infette nella pedecollina, fa rientrare in zona di restrizione 2 i Comuni di Collecchio, Sala Baganza e Felino e in zona di restrizione 1 i Comuni di Langhirano, Lesignano e Traversetolo. Il cuore della produzione dei salumi di Parma.

Benché in Emilia-Romagna l’infezione non sia ancora entrata negli allevamenti, grazie anche alle misure di biosicurezza messe in campo dagli allevatori, e i salumi prodotti non risultino pertanto contaminati, il solo fatto di ricadere nelle zone di restrizione 2 comporta il blocco delle esportazioni da parte di paesi come USA, Canada e Giappone, in forza dei protocolli sanitari che applicano alle importazioni.

Le ricadute economiche ed occupazionali rischiano di essere enormi e bisogna agire tempestivamente, in modo compatto e coordinato a tutti i livelli, per porre argine, per quanto possibile, a quello che si profila come un vero e proprio tsunami per la Food Valley di Parma.

Come Europa Verde ci teniamo però a mettere in chiaro alcune cose per smontare fin da subito strumentalizzazioni politiche e fake news che già iniziano a circolare. La diffusione della peste suina non è certo colpa, come sostiene il presidente di Assosuini, dell’ideologia ambientalista, ma semmai il contrario.

L’eccessiva presenza di cinghiali, che comportava tra le alte cose danni all’agricoltura e agli ecosistemi e pericoli di incolumità per le persone, è un problema annoso le cui cause sono piuttosto da ricondurre ai cacciatori, in particolare i cinghialai, che non hanno mai voluto contenerne la popolazione, anche quando si sono dati tutti gli strumenti e i permessi per farlo, e alla sciagurata riforma delle province che ha separato le funzioni di gestione e controllo della fauna selvatica e depotenziato i corpi di polizia provinciale addetti al coordinamento dei piani di controllo nei parchi e nelle zone protette.

L’ecologia e la storia insegnano che quando le popolazioni superano per troppo tempo determinate soglie intervengono poi agenti naturali per riequilibrarle.

Così come non è certo l’Europa, come qualcuno vuole fare credere, a bloccare le esportazioni, ma sono gli accordi commerciali e i protocolli sanitari applicati dai paesi terzi e spesso negoziati bilateralmente dagli Stati. Anzi, è grazie alle misure di regionalizzazione e perimetrazione adottate dall’Unione Europea che si è potuto evitare che la presenza di un solo contagio portasse al blocco delle esportazioni per tutto il territorio nazionale.

Vi sono stati poi dei ritardi e sottovalutazioni da parte dei governi in carica. Bisognava intervenire in maniera immediata e radicale, con reti di contenimento, fin dal primo contagio registrato più di due anni fa nell’appennino ligure, come fatto con successo in Belgio. Ma ormai è troppo tardi e bisogna pensare al presente.

E pensando al presente, quello che non aiuta è l’omertà tipica del sistema parmigiano. Fare finta di niente per non creare “allarmismo” come è stato fatto per due anni non ferma certamente il contagio e non tutela i produttori e i lavoratori. Bisogna affrontare la realtà per quello che è e fare in modo che tutti gli attori coinvolti adottino misure immediate.

Come Europa Verde chiediamo inoltre di dare diffusa e adeguata informazione ai cittadini delle norme di comportamento da adottare nelle zone di restrizione e in caso di ritrovamento di carcasse di cinghiale, sapendo comunque che il virus della peste suina non è trasmissibile all’uomo e non comporta rischi per la salute umana.

Nicola Dall’Olio

Co-portavoce Europa Verde Parma